Viaggio di uno studente di pianoforte jazz
CHI E’ LUCA RIDOLFO
La mia storia
Ciao!
Ho scritto questa biografia per una sola ragione. Quale? Semplice: le uniche email che guardo con attenzione provengono da persone di fiducia e che sento di conoscere personalmente.
Non c’è niente di peggio di un estraneo che invia e-mail alla tua casella di posta!
Ascolta. La conoscenza da sola non ti aiuterà a suonare jazz al pianoforte. Perché? Ci sono davvero troppe informazioni sparse in modo caotico là fuori, così tante da far andare in saturazione chiunque. Quindi, anche se stai cercando nuove informazioni, devi essere in grado di ottenere tali informazioni da una fonte affidabile.
In altre parole …
Da qualcuno di cui ti fidi!
Questo l’ho scoperto quando mi sono iscritto a diversi siti su come suonare jazz, come improvvisare, comporre musica ecc.
Dopo poco tempo ho iniziato a cancellarmi dalle loro mailing list semplicemente perché non mi fidavo di quello che dicevano. Le loro informazioni non mi convincevano affatto.
Lo stesso è accaduto anche in altri settori di mio interesse ...
Solo 1 esperto su 100 mi è sembrato degno di fiducia. Noti subito a pelle quando qualcuno vuole aiutarti seriamente e ama farlo non solo per i soldi.
Tutti gli altri, i restanti 99, non erano altro che nomi sullo schermo del mio computer.
Chi erano queste persone dall’altra parte? Cosa rappresentavano? Perché sono sul web? Qual’era la loro storia?
Tenendo presente questo, lascia che condivida con te qualcosa in più di me. Non voglio essere un altro nome sullo schermo del tuo computer.
Perchè lo faccio? Perchè sento di avere accumulato dell’esperienza sul campo e ho intenzione di mettere a tua disposizione diverse strategie che potrebbero facilmente cambiare la tua vita. Ho intenzione di far del mio meglio affinché tu ne tragga giovamento, affinché tu legga i miei messaggi e impari queste strategie… e soprattutto, molto più importante, affinché tu
Le metta in pratica!
Ho iniziato a suonare jazz quando avevo 13-14 anni. A quel tempo, un insegnante della scuola di musica del paese mise in piedi una Jazz Band (i “The Accidents”) e decise di avere me al pianoforte.
Studiavo classica da diversi anni, ma mai avevo trovato un genere che mi prendesse “da dentro”. Purtroppo, però, di Jazz non sapevo nulla. A quel tempo non c’erano tutorial su YouTube, Spotify o quant’altro. L’ADSL era fantascienza e con il modem 56k riuscivo a scaricare a malapena un semplice mp3.
Cosi, un mio amico mi masterizzò l’album di Herbie Hancock “Takin’ Off” (quello con dentro “Cantaloupe Island”, per intenderci).
Seppur ero totalmente a digiuno di improvvisazione, ero rapito dalla possibilità di suonare ogni volta delle cose nuove. Questa volta ero io l’artefice della musica, non mi limitavo a seguire uno spartito come ho sempre fatto.
Con il passare del tempo, un po’ io, un po’ mio padre, abbiamo acquistato vari CD. Non conoscendo gli artisti e la musica Jazz in generale, le nostre scelte si basavano sui nomi presenti in copertina.
C’era però una cosa che non riuscivo a comprendere mentre li ascoltavo:
Come facevano a suonare così bene, così precisi tutta quella musica? Era impossibile che loro suonassero tutto quel ben di dio semplicemente perché ispirati. Notavo una differenza abissale tra questi e la mia band. Allora non avevo nessun tipo di conoscenza e le “soluzioni” da me suonate erano decise in base a quello che sembrava suonasse bene.
Decisi di trovare un insegnante che potesse seguirmi ed aiutarmi lungo questo percorso. Dopo qualche lezione mi sono reso conto che…
Ero un completo disastro !!!
Sembrava non sapessi nulla di musica. Tutti i concetti spiegati da questo insegnante parevano dei trattati di fisica quantistica. In più, i primi brani insegnatomi erano “Giant Steps”, “Moment’s Notice” e “Come Sunday”.
Se conosci questi brani, avrai ben presente la difficoltà di questi.
Per vari motivi, dopo alcune lezioni non proseguii più con le lezioni e lasciai il jazz da parte…
A dire il vero no…
Con i “The Accidents” continuammo a suonare, ad espandere il repertorio e a fare pure qualche live.
Con la musica andavo avanti come un treno. E’ sempre stata la cosa che mi è sempre piaciuta più in assoluto. Continuai a perfezionarmi sempre più con lo strumento, studiando classica per gli esami del vecchio ordinamento.
In una domenica di Ottobre, i miei genitori ritornarono indietro da una fiera e mi diedero un volantino. In questo, vi era un’offerta di una scuola di musica in cui era possibile studiare Jazz.
Sebbene ero poco convinto, mi esortarono a telefonare e a parlare per una eventuale lezione di prova. Ero in quarta superiore e non sapevo che, in quel momento li, stavo dando
Una svolta alla mia vita
Con questo nuovo insegnante mi accorsi di non essere completamente stupido. Il suo approccio pratico mi permise di farmi le ossa, cambiando il mio modo di suonare jazz.
Arrivai in quinta superiore e, con essa, la scelta del mio percorso futuro. E’ proprio in quel periodo in cui prendi le tue prime importanti decisioni nella vita, quelle a cui solo tu puoi rendere conto.
Contro le aspettative di tutti, mi iscrissi al triennio di Pianoforte Jazz.
Qui ho avuto modo di fare le mie prime esperienze con delle formazioni jazz vere e proprie, ho ampliato le mie vedute, ho appreso nuove conoscenze e fatto nuovi contatti.
Parallelamente, mi affascinava il mondo dell’home recording. Con i miei microfoni e ed altra attrezzatura, registravo ogni mia singola performance.
Riascoltando queste registrazioni la domanda che avevo in testa era sempre quella: “come fanno i grandi pianisti ad improvvisare cosi bene?”
E soprattutto: “riuscirò mai a migliorare il mio modo di suonare?”.
Spesso la gente mi diceva che avevo bisogno di tempo, che ero troppo teso mentre suonavo e non lasciavo scorrere le mie idee.
Altri, dopo aver letto (e travisato aggiungerei) il libro “Effortless Mastery”, mi dicevano di come in verità sapessi già tutto. Dovevo solamente non pensare mentre suonavo.
Se anche te fai parte della schiera di scettici come me, capirai benissimo che non credevo a niente di tutto ciò.
Sapevo, invece, di non conoscere i concetti per fare il salto di qualità. Sebbene ne uscissi vivo dopo aver suonato ad ogni concerto, mi rodeva il fatto di non avere quelle informazioni. Sospettavo persino che qualcuno me le stesse nascondendo!
Gli anni del triennio e del biennio di Jazz passarono tutti più o meno in questo modo. Riscontravo qualche miglioramento, ma a una velocità spaventosamente lenta.
In più notavo altri pianisti, studenti come me in conservatorio, procedere a una velocità disarmante. Mi sentivo come una vecchia Cinquecento che doveva gareggiare contro una Ferrari fiammante. E per quanto molti possano dire “eh, ma la musica non è una competizione”, quella competizione era in primis dentro di me: vedevo una versione di me che poteva avere risultati più immediati. Questo non per smanie di grandezza o perché sono un mitomane, ma semplicemente perché provenivo dalla classica con risultati veramente buoni.
In più, questa differenza era ancora più accentuata tra studenti dei conservatori italiani e esteri. Cosa facevano all’estero di cosi speciale da sfornare in continuazione allievi eccellenti? Erano cosi tutti dotati musicalmente per loro natura o c’era qualcosa in più?
Decisi cosi di affrontare il più grande scoglio, me stesso e la mia comfort zone, proseguendo gli studi al di fuori del territorio italiano.
Cosi come l’idea di andare in Conservatorio era stata “presa d’assalto”, anche l’idea di andare all’estero ha avuto i suoi detrattori. Io, però, ero intenzionato a capirne di più. Volevo, costi quel che costi, capire cosa mi mancava… ed eventualmente acquisirlo.
Ho preso autobus, treni, aerei, per andare nei conservatori di Copenhagen, Amsterdam, Den Haag, Graz, facendo le relative ammissioni. In questi si respirava un’altra aria. Un’aria a cui non ero abituato, più rigorosa ma non per questo meno familiare.
Non solo ho avuto modo di fare gli esami, ma anche di assistere alle lezioni come studente “esterno” ed effettivo! Infatti, dopo qualche mese, ho ricevuto la notizia in cui ero stato ammesso al Conservatorio Reale de L’Aia (Koninklijke Conservatorium van Den Haag).
Contento del risultato, mi sono trasferito dove tutt’ora risiedo e qui ho iniziato il mio Master di due anni.
Timoroso, nelle prime due lezioni ho capito la componente fondamentale, l’elemento chiave che poteva farmi passare al livello superiore.
Il metodo di studio è la soluzione
Infatti, il metodo di studio “italiano” (sempre se esiste) era completamente diverso da quello “olandese”. Niente a che fare con pensare-non pensare a strani concetti filosofici. Questa volta era 100% pratica.
In quel momento mi sono accorto di non sapere niente, di dover reimparare tutto da zero, di togliere le vecchie abitudini per far posto a nuove più efficienti e più musicali.
Nelle lezioni non si parlava di concetti astratti ma si studiava insieme un semplice argomento al pianoforte. In questo modo
L’insegnante ti insegnava a studiare
Rileggi questa riga. Qui è racchiusa tutta la “potenza” di un metodo efficiente.
Non sto parlando di miracoli chiaramente. Ho notato, però, come in questo modo i miglioramenti arrivino in un arco di tempo relativamente più breve di quanto pensassi. La cosa bella è che, dopo essersi abituati ad avere un metodo di studio, le cose si apprendono più velocemente. Si scatena come un circolo vizioso in cui continui ad apprendere sempre più rapidamente cosi che il tuo miglioramento diventi “esponenziale”!
All’inizio fare tutto questo è stato difficile ma …
è stato un viaggio che mi ha cambiato totalmente
Mi ha reso una persona ed un pianista migliore. Ho vinto le mie paure, le mie debolezze. Ho più fiducia in me stesso, anche quando suono di fronte ad un pubblico. Ho anche imparato ad affrontare il fallimento a breve termine ed essere in grado di vedere a lungo termine.
E, cosa più importante,
ho imparato ad aiutare gli altri
Molte persone pensano che imparare a suonare il pianoforte jazz sia qualcosa destinato alle persone di talento, ai giovani o a chi ha un sacco di tempo libero.
Questo è vero, ma solo in parte… pochi parlano dell’altro lato della medaglia.
Puoi diventare, infatti, un abile pianista anche se sei un comune adulto. È dimostrato come questi abbiano molti vantaggi rispetto ai bambini nell’apprendimento di nuove abilità (ho anche scritto un libro a riguardo).
Perché allora nessuno ne parla? Semplicemente perché un bambino prodigio fa più “scalpore” di un “adulto prodigio”. Il primo vende molto di più del secondo!
Questo è il problema: il mondo dell’arte si basa molto sull’apparenza e se suoni il piano solo per l’impressione che vuoi dare a qualcuno… beh, allora stai facendo lo stesso lavoro dei media che promuovono l’ignoranza divulgata attraverso la TV come “cultura”.
Ti piacerebbe essere uno di loro?
Ricorda: abbiamo sempre una scelta. Decidere di “agire per cambiare la propria condizione” è solo l’inizio.
Ci sono sempre quelli (la maggior parte) che vedono solo un lato della medaglia, buono o cattivo. E poi altri (i pochi) che vedono entrambi i lati.
Se vuoi pensare con la tua testa, li devi conoscere entrambi. Altrimenti vedrai sempre una sola faccia e sarà difficile diventare un buon pianista.
Nel corso della mia vita sono stato lavapiatti, addetto agli inventari, volantinaro e pure segretario. Nessuno è mai venuto da me a dirmi: “ehi Luca, il modo in cui hai lavato i piatti oggi mi ha davvero cambiato la vita…”. (AH AH!)
Mai!
D’altro canto, molte persone sono entrate in contatto con me dopo aver acquistato i miei corsi, metodi, o la mia musica. A detta loro, le informazioni presenti in questi hanno cambiato le loro vite rendendoli persone migliori.
Per concludere ti dico questo: oggi so che questo viaggio mi sta conducendo verso la mia meta, verso un modo di essere del tutto congruente con quello che sono e quello che voglio. E sono convinto che chiunque debba seguire questa strada… ad ogni costo! Anche se le difficoltà iniziali sembrano impossibili, anche se la gente pensa che tu sia pazzo …
… ne vale sempre la pena. Credimi, il gioco vale lo sforzo!
E se me lo chiedi, se dovessi rifare tutto da capo, farei tutto allo stesso modo.
Luca Ridolfo